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“La globalizzazione pericolosa”. Il lavoro del professore Alexander Del Valle che sta per arrivare n

La situazione in Medio Oriente e in Est Europa è sempre più caotica e in divenire. Rivolgiamo alcune domande sulla situazione odierna al prof. Alexandre Del Valle, studioso francese di origine italiana, saggista e docente Ipag di Parigi, uno dei maggiori intellettuali francesi contemporanei.




Prima di parlare di Medio Oriente e di geopolitica “globale”, che pensa delle vicende delle “banlieues” francesi, dove lo Stato e le forze dell’ordine sono stati attaccati e sfidati per notti intere da bande di delinquenti, da giovani sfaccendati, e da gruppi eversivi di estrema sinistra o anarchici violenti, bruciando centinaie di banche, migliaia di macchine, di edifici, negozi, attaccando commissariati, scuole, ambulanze, ospedali, asili nido?


Penso che stiamo assistendo in Francia, come in Olanda, in Svezia, in Germania e in Belgio e in Inghilterra, alla sconfitta programmata del modello di società multiculturale, che le Élite europee e occidentali avevano prospettato per giustificare un’immigrazione extracomunitaria incontrollata e per giustificare la inattuata integrazione o assimilazione, di parte dei discendenti degli immigrati mussulmani neri-africani e maghrebini. Preciso dunque che il problema specificamente concerne una parte solo di questi due gruppi, non per stigmatizzarli, ma anzi, per poter capire meglio la reale fonte della spaccatura della società francese, che non consiste nella contrapposizione tra Francesi autoctoni e immigrati o figli di essi, ma d’una parte fra Francesi autoctoni e discendenti di immigrati, e dall’altra parte i figli degli immigrati africani-arabo musulmani, che vengono indottrinati a odiare l’Occidente, la Francia e i suoi valori e cittadini autoctoni.

Essi sono indottrinati essenzialmente da tre “forze” eversive:


-1/ gli spacciatori pusher che controllano di fatto i quartieri e utilizzano qualsiasi pretesto per scatenare odio nei quartieri e per attaccare i poliziotti, appena essi mettono il naso nei quartieri controllati dai venditori di droga, e che dissuadono le forze dell’ordine dall’entrarci e quindi costringono di fatto la polizia a lasciare ai criminali via libera (la cosiddetta “pax delle banlieues”). Le prime vittime delle violenze delle “banlieues” sono quindi gli abitanti onesti di questi quartieri presi in ostaggio dalle minoranze di delinquenti violenti.


-2/ Gli islamisti radicali, soprattutto i Fratelli musulmani e i ribelli istigati da paesi che detestano la Francia (Turchia di Erdogan, Algeria) e diffondono nei quartieri, attraverso i centri culturali e le moschee, un odio revanscista contro la Francia, quindi contro la Repubblica laica, accusata di essere “islamofoba” e contro i Francesi “infedeli”, accusati di essere la causa di tutti i problemi e sofferenze dei figli degli immigrati musulmani.


3/ – una parte della sinistra radicale, sia parlamentare, con il partito LFI di Mélenchon e i suoi alleati ecologisti, sia eversiva violenta, come i Trotskisti e altri movimenti anarco-comunisti legati ai Black Blocs, che vedono nelle borgate popolate da musulmani saheliani e maghrebini, una fonte di mobilitazione di un nuovo “Proletariato combattente” che sostituisce il proletariato francese, una massa la cui forza potenzialmente violenta e il cui malessere possono essere strumentalizzati, al fine di destabilizzare la società francese definita come “borghese” giudaico-cristiana, e lo Stato-Nazione, odiato dai seguaci dell’ “Internazionale marxista”.


Detto tutto ciò, concludo che la Francia non ha problemi con i migranti in generale – io stesso sono figlio di un padre siciliano e di una madre spagnola – e lo stesso Aznavour, il nostro più famoso e apprezzato cantante nazionale, era armeno, senza dimenticare Zidane o Benzema, molto amati e popolari in Francia.

Tuttavia, una buona parte (non maggioritaria) dei musulmani, discendenti di Saheliani, di maghrebini e anche di Turchi, odiano implacabilmente la Francia, perché sono stati educati dai loro genitori, dagli imam fanatici, dalla sinistra eversiva estrema e da alcuni Stati ostili (Turchia e Algeria), all’odio revanshista e anche al “razzismo arrovesciato”, antioccidentale, e contro gli “infedeli ex crociati e colonizzatori” francesi. Osservo che anche i più scontenti e poveri fra gli immigrati e i figli di immigrati indiani-induisti, fra gli Asiatici dell’Indocina ex francese (Vietnam, Laos, Cambogia, ecc.), e anche fra i Neri-africani cristiani, i latino-americani, i cinesi, o i Russi e altri Slavi (spesso mal visti o stigmatizzati), non partecipano a questo tipo di rivolte e di saccheggi e razzie revansciste e anti-francesi, né accusano mai le istituzioni francesi di trattarli male, una accusa irrealistica: lo Stato francese offre a tutte le famiglie, di immigrati e figli di immigrati che hanno molti bambini, dei sussidi enormi che non esistono in Spagna o in Italia.


Quindi il quid del problema è di non essere riusciti ad integrare e anzi assimilare le popolazioni africane mussulmane che lo Stato ha avuto il torto di lasciare nelle mani degli imam radicali “infedelofobi” e della sinistra eversiva falsamente “anti-razzista” -antifascista. In funzione rivoluzionaria, quest’ultima ha messo nella loro mente, l’idea pericolosissima secondo la quale loro non hanno doveri ma solo diritti (risarcimento permanente preteso dal colonizzatore), e secondo la quale il “razzismo di Stato” sarebbe “strutturale”, intrinseco alle istituzioni francesi repubblicane laiche da combattere.


La scossa delle banlieue non è quindi la prova della sconfitta del modello multiculturale in sé stesso, che funziona benissimo tra culture che non sono opposte e nemiche (ad esempio funziona in Svizzera, in Brasile, in America Latina in generale, nell’isola di Mauritius,e a Singapore), ma si tratta di una crisi del multiculturalismo tra popolazioni non musulmane e musulmane, quando lo Stato non musulmano e laico lascia i figli dei migranti nelle mani della manipolazione prodotta dagli Stati di origine ostili e revanscisti (Algeria, Turchia, Qatar, Pakistan, ecc.) o delle organizzazioni islamiche mondiali eversive, anti-infedeli (salafismo, Fratelli musulmani arabi, islam politico pakistano e Milli Görüs turco).


L’Europa occidentale ha sottostimato da decenni i rischi degli scontri di civiltà e di religioni ed è accecata da una ideologia multiculturalista senza limiti e ideologizzata in funzione antioccidentale (wokismo). Quindi questo vuol dire che se non metteremo totalmente fuori i fratelli musulmani e i gruppi eversivi che utilizzano i figli dei migranti musulmani come mano d’opera rivoluzionaria, avremo in futuro ribellioni ancor più ampie e più violente, senza escludere il rischio di guerra civile, quando il numero degli scontenti ribelli radicalizzati supererà il limite strutturalmente gestibile…


Questo però non è il parere di un “populista islamofobo”, ma il risultato degli studi di due grandi ricercatori e intellettuali francesi, non certamente sospettabili di razzismo islamofobo: Malika Sorel, nata in Algeria, e già esponente del prestigioso Alto Consiglio francese per l’integrazione, e Tarik Yildiz, ricercatore sociologo francese di origine turche, il quale ha scritto un saggio sul “razzismo anti-Bianco” …


Inoltre, riguardo alla difficoltà di integrare i musulmani in una società non musulmana, i miei dubbi sono stati concepiti meglio di me e ben prima di me, da due famosissimi studiosi a livello mondiale: il grande antropologo Claude Levi-Strauss, che scrisse cose molto rigorose sulla difficoltà di riformare l’islam e sull’intolleranza della Sharia, e il più grande islamologo mondiale, Bernard Lewis, che ha profetizzato la spaccatura delle società multiculturali che provano a far vivere assieme musulmani non integrati e non musulmani autoctoni, nel suo saggio “Il ritorno dell’Islam”…


Meglio ancora, aggiungo quel che l’ex-Re del Marocco, Hassan II, disse 30 anni fa: “sarà impossibile integrare e anzi assimilare i milioni di figli di marocchini e musulmani, in Europa, essi rimarranno sempre maghrebini e figli di altre civiltà anche se si fa di tutto per farne dei Francesi”… Io sono meno pessimista di Hassan II, perché credo come i grandi leader musulmani laici, il turco Atätürk e il Tunisino Habib Bourguiba, che se controlliamo le reti degli imam e delle moschee, possiamo perfettamente integrare i musulmani nella società secolare moderna, ma a condizione di rendere impermeabili le nostre comunità musulmane aagli islamici integralisti e dall’influsso eversivo di alcuni Stati ostili…


Prof. Del Valle la situazione in Medio Oriente oggi è straordinariamente complicata e complessa: come vede, in prospettiva, il futuro geopolitico del Medio Oriente?


Prima di tutto, Le posso dire che non tutto è negativo! Certo, nello Yemen, c’è stata, dalle rivoluzioni arabe in poi, una vera tragedia umana con più morti che in Ucraina e altrettanti che in Siria, ma nessuno ne parla, perché l’Occidente sta dalla parte delle monarchie del golfo, che militarmente bombardano alla cieca…inoltre, in Siria, niente è risolto e l’Isis e Al Qaïda stanno riorganizzandosi…infine, per completare il quadro degli aspetti negativi, in Palestina, si sta vivendo una tragedia, innanzitutto dal punto di vista del popolo palestinese, ma anche della parte nazionalista e in particolare degli islamisti radicali di Hamas, il movimento palestinese sunnita jihadista, finanziato dall’Iran Sciita e dal Qatar e appoggiato totalmente fino a poco tempo fa dalla Turchia post Kemalista del neo sultano Erdogan, appena rieletto.


Bisogna però ricordare che nella loro strategia di strumentalizzazione della causa palestinese, considerata nel suo lato più radicale, la Repubblica Islamica Iraniana, il Qatar e la Turchia, non hanno aiutato a promuovere la pace, anzi, perché infatti, più i radicali jihadisti palestinesi di Hamas o dell’Hezbollah Libanese Sciita appoggiato da Teheran, attaccano Israele con attentati alla cieca, non solo contro i militari, ma anche contro i civili e perfino a volte i bambini, più forniscono ogni volta un pretesto supplementare agli inflessibili falchi israeliani, che sono tornati al potere e che alleano ultra religiosi e destra nazionalista. Ciò purtroppo allontana ancor di più la pace, perché i falchi israeliani si basano sul seguente postulato, in parte vero : “quando ci siamo ritirati nel 2000 dal Libano del sud e poi da Gaza nel 2005, i terroristi di Hamas, della Jihad Islamica e di Hezbollah, ci hanno aggredito ancora di più, mentre la parte moderata dello Stato Palestinese ( detta “Autorità Palestinese “) non è mai stata in grado di neutralizzare i terroristi”: quindi le colonizzazioni non devono essere smantellate, né uno Stato Palestinese permesso, perché creerebbe, accanto a noi, uno Stato sovrano ultranemico, armato e potenzialmente dominato dai terroristi, in caso di vittoria elettorale, un giorno, degli estremisti Hamas o di altri, nella governance della “Autorità Palestinese”… Questo sillogismo va messo in discussione ed è, di certo, in parte, un pretesto, per continuare a rendere irrealizzabile uno Stato palestinese, già pieno di “buchi «territoriali e di enclave ebraiche israeliane, rebus sic stantibus, ma è anche in parte vero oggi, perché l’idea di uno Stato ebreo non è attualmente accettata dalla maggioranza dei dirigenti e cittadini palestinesi.


Quindi oggi la ipotesi di uno Stato palestinese rimane sempre meno fattibile. L’esito della vicenda pertanto sembra negativo, dal punto di vista palestinese, ma se ragioniamo dal punto di vista globale: arabo palestinese e panislamico, il fatto che l’Arabia Saudita, non ufficialmente, e gli Emirati, ufficialmente, abbiano accettato questo dato di fatto (e il fatto che da tempo i Paesi arabi sunniti che contano di più: Egitto, Emirati, Kuwait, Bahrein, Marocco, Giordania e altri dell’Africa, abbiano accettato l’accordo detto di Abraham, promosso da Donald Trump e Jared Kushner e mantenuto da Biden e Blinken), ha permesso un processo di pace Israelo-arabo molto efficace, per la regione e il mondo islamico. Il messaggio programmatico diffuso dai cinque paesi Arabi centrali per l’Islam : Emirati, Arabia Saudita, Marocco, Giordania e Egitto, è infatti il seguente: l’Islam sunnita ufficiale non legittima la guerra santa in nome della Palestina; Gerusalemme non è il così detto “terzo luogo sacro dell’Islam”; Gerusalemme è importante per l’Islam, ma non può esserlo quanto i due luoghi santi, definiti Al Haramain, la Medina e La Mecca, e la guerra totale fra musu

lmani ed ebrei, non è necessaria, né legittima.


Lo stesso MBS (abbreviazione che indica Il Principe ereditario Saudita padrone dell’Arabia Saudita: Mohammed Bin Salman Al Sa’ud n.d.r.), padrone dell’Arabia Saudita e dei due luoghi santi (“Al Haramain – La Mecca e Medina), ha detto più volte che niente giustifica la guerra jihadista per Gerusalemme, e che lo Stato palestinese potrebbe trovarsi una capitale vicino o solo in una parte a Gerusalemme, senza rifiutare che sia anche la capitale dello Stato ebreo. Questo nuovo atteggiamento, condiviso dagli Emirati, fa diminuire la presupposta legittimità antisionista di tanti Jihadisti, e la prova di ciò sta nel fatto che non solo Israele combatte inesorabilmente Hamas e la Jihad Islamica a Gaza e gli Hezbollah in Libano e Siria, ma si contrappone anche alla Giordania, all’Arabia Saudita, all’Egitto, e agli Emirati.

Secondo aspetto da considerare: l’accordo tra Arabia Saudita e Iran, patrocinato da Pechino, dimostra che, in caso di attacco bellico israeliano contro l’Iran per evitare l’accesso alla bomba nucleare, i Paesi del Golfo rimarrebbero neutrali, non solo nei confronti di Israele, ma anche con l’Iran: questo ultimo agirebbe in cambio di un riconoscimento di reciprocità con alcune nazioni e della fine dell’isolamento totale, Teheran consentirebbe quindi ad impedire le rappresaglie iraniane e quelle da parte dei suoi protetti : i ribelli Sciiti detti Houtisti, nello Yemen, contro le infrastrutture saudite del Petrolio.


In merito risulta interessante fare una osservazione, apparentemente paradossale, tuttavia logica, difficile pero’ da ammettere, da parte di noi occidentali: nelle varie aree di tensione (nel Golfo fra Iraniani e Paesi Arabi; tra Turchia, Paesi del Golfo ed Egitto; come anche tra la Siria di Assad e i Paesi della Lega Araba), non è la morale multilateralista occidentalocentrica a promuovere la pace, ma gli accordi, a volte molto cinici e di real politik, tra attori del mondo multipolare. Detto questo, si aggiunge che é anche vero che la linea degli accordi di pace di Abraham, è stata lanciata dalla parte più isolazionista, real politica e cinica delle amministrazioni americane: quella di Trump, una linea che fu proseguita da Biden, in funzione di un motivo non previsto: con la guerra in Ucraina e la necessità di concentrare tutti gli sforzi per fermare la Russia, Biden e Blinken, (quest’ultimo, da poco, in Arabia Saudita per supplicare Mbs ( il Principe Reale Saudita Mohammed Bin Salman n.d.r.)di riconciliarsi), in pratica, hanno abbandonato la diplomazia della morale in cambio di un pragmatismo cinico e da real politik e simultaneamente hanno lanciato offese verbali contro MBS (il Principe Saudita Mohammed Bin Salman, n.d.r.), famigerato perché fece distruggere il giornalista saudita dissidente Kashoggi nell’acido), in cambio di un cinico pragmatismo, dettato dalla realpolitik


La Turchia, potenza emergente ma volutamente parte dei Brics e non del G20 ha un ruolo centrale ma bipartisan, da che parte sarà negli equilibri futuri e che ruolo gioca e interpreta?


La Turchia di Erdogan è l’esempio più evidente del ritorno del mondo alla realpolitiked alla complessità geopolitica del mondo multipolare emergente attuale, dove non ci sono più lettura coerente né regole logiche e collettive. La verità è che Erdogan è diventato, come usiamo dire in geostrategia: “il mastro orologiaio”, cioè un uomo molto più furbo, malizioso, elastico e complesso, rispetto a quello che si diceva di lui, da quando ha conosciuto una deriva autoritaria, dopo il 2008.


Oggi Erdogan sa sfruttare al massimo la sua “capacità di nuocere”: lancia infatti minacce migratorie all’UE, e sfrutta l’acquisto di missili SS300 russi, per ricattare gli americani; inoltre, Erdogan sviluppa un doppio gioco multiplo: con la NATO, e con l’Occidente, con l’UE e con l’America, con l’Ucraina e la Russia.


In conseguenza, grazie a questo suo multipolarismo e a questo suo doppio gioco, con l’Occidente e con i peggiori nemici di esso (Russia, Iran, Cina, Siria), il sultano turco riesce ad ottenere vantaggi, favori, indulgenze e perdoni da tutti i lati. Erdogan é anche riuscito nel 2018 – 2019, a convincere Trump ad abbandonare il sostegno Statunitense ai Curdi in Siria, in cambio di una collaborazione reciproca, volta a indebolire l’ISIS e a ammazzare il suo califfo, nascosto nella zona nord ovest mediorientale, quella tuttora controllata dalla Turchia; lo stesso Erdogan ha acquistato disinvoltamente armi russe, pur senza essere punito dagli Stati Uniti, che vogliono fare di tutto e quasi a ogni prezzo affinché la Turchia – che ha 50 basi militari nucleari americane-NATO e anche materiale militare nucleare, come l’Italia, sul suo suolo -, rimanga, più o meno, leale agli interessi USA, in cambio di vantaggi e indulgenze. Si è anche riconciliato con l’Egitto, l’Arabia Saudita e gli Emirati senza rompere con i loro peggiori nemici: il Qatar e l’Iran; ha minacciato in continuazione la Grecia nel Mare Egeo, e anche Cipro ( due membri UE); nello stesso tempo Erdogan ha smantellato la democrazia storica in Turchia; ha represso le opposizioni in Turchia; ha addestrato, in tutta Europa una rete di Imam radicali e centri negazionisti, creati dai fascio-nazisti e violenti Lupi Grigi ( nome dell’omonimo movimento estremista militare turco n.d.r.), che impediscono l’integrazione degli immigrati, e fanno eversione contro i nostri valori Europei; ha aiutato gli Azeri a massacrare gli Armeni, nell’Alto Karabakh. Erdogan poi continua a sostenere reti di Jihadisti in Siria, Libia e Caucaso (arruolati nelle milizie turche dette Sadat, l’equivalente turco dei miliziani russi Wagner n.d.r., a guida del generale Tanriverdi, un amico di Erdogan). Tutto questo è stato intrapreso da Erdogan senza subire delle sanzioni europee serie e senza che i negoziati per l’ingresso nella UE, di fatto in stand by, siano ufficialmente fermati! Non solo, come Unione europea, continuiamo a dare ad Ankara molti miliardi di euro a titolo della candidatura turca alla UE e dell’accordo Merkel Erdogan del 2015, sull’immigrazione. Da questo punto di vista pertanto, il neosultano Erdogan, (che riesce ad armare gli ucraini e a sostenerli, ma che nello stesso tempo, riesce a contenere le sanzioni occidentali contro la Russia e ad aiutare le imprese russe a fare business a partire dalla Turchia) non è un fanatico rozzo ed ottuso, ma per parafrasare la espressione di Sergio Romano, un “trasformista”, un iperpragmatico cinico. Se si osserva con attenzione il suo approccio internazionale, si ritrova, e forse trae origine almeno in parte, nella sua sottile e cinica politica interna. Durante l’ultima campagna presidenziale, Erdogan ha preso il voto di un milione di Siriani, fatti in fretta diventare cittadini turchi e lusingati nel loro atteggiamento islamico, per piacere agli islamisti AKP (del Partito della Giustizia e dello Sviluppo) e per far vincere il suo campo politico, ma nello stesso tempo, per sedurre i suoi alleati razzisti, fascisti, panturchisti, del partito MHP (il Nationalist Moviment Party ricollegabile ai Lupi Grigi n.d.r.), non ha smesso di attaccare i Siriani e di promettere di farli spostare in Siria, in una zona di protettorato turco, dove, sin dal 2018, sta facendo interventi militari di purificazione etnica contro i Curdi) per mettere al loro posto questi due o tre milioni di Siriani.


Essi sono destinati a diventare, insieme alle minoranze turcofone del nord Siria, una quinta colonna pro Turca in Siria, che impedirà la permeabilità della Turchia del sud da parte dei Curdi Siriani, considerati troppo legati ai Curdi separatisti del PKK della Turchia.


In Siria oggi, più che mai, regna sovrano il caos: è un non Stato, dove tante potenze giocano una loro partita a scacchi, di equilibri, di interessi contrapposti, spesso ignorando le sorti dei Siriani: cosa ne pensa, anche tenendo presente la sua pregressa esperienza diretta in Siria?


Ho scritto due libri sulla Siria, nel 2014 e 2016, con una grande oppositrice siriana laica moderata: Randa Kassis; uno dei due saggi è tradotto e pubblicato in italiano: Il caos siriano, edizioni Dettori.

Dallo studio e dalle analisi che hanno portato a questo libro, nonché dalla preparazione e svolgimento dei numerosi negoziati ONU a Ginevra e russo, turco, iraniani di Astana, Sochi, Istanbul e Teheran, ho capito che il mondo era cambiato definitivamente in senso multilateralista e della realpolitik. Infatti, in Siria, si può apprezzare un pragmatismo incredibile: russi e americani, poi russi e israeliani, si parlano in permanenza: per non avere conflitti diretti, (vale a dire rischio di conflitti militari di aviazione e in battaglie sul campo). Qui, a volte l’America ha consentito ai russi di bombardare alcune zone nemiche comuni, mentre la Russia ha “tradito più volte “il suo grande alleato iraniano, implicitamente consentendo agli israeliani di bombardare in permanenza le basi e i flussi di armi dell’Hezbollah libanese iraniano in Siria, destinati a colpire Israele.

Da allora si osserva una strana, paradossale, cooperazione, tra Russia, Iran e Turchia, per condividere la supervisione sulle zone rispettive di controllo, in Siria. Questo ha prodotto una cooperazione abbastanza efficiente, fra Israele e Russia, e quest’ultima spiega, in gran parte, perché Israele non ha mai voluto rompere con Mosca e impegnarsi militarmente a favore degli Ucraini tanto quanto l’Occidente, malgrado le tante pressioni.


Se Israele ha bisogno di ragionare offrecords con la Russia, per bombardare le basi e armi di Hezbollah e delle milizie iracheno iraniane sciite in Siria, ha ancor più bisogno di neutralità pragmatica, per poter bombardare, probabilmente, tra poco, l’Iran, se questo paese (detto “sulla soglia” del nucleare militare nel linguaggio strategico), dovesse accedere (come sembra) a breve alla detenzione dell’arma nucleare…

Detto questo si deve considerare che la novità strategico politica di questi ultimi mesi è che la Siria non è più isolata mondialmente: oggi la maggioranza dei Paesi Arabi, anche quelli più pro-occidentali, stanno di fatto stabilendo relazioni dirette ufficiali con Damasco con l’appoggio della Lega Araba. Questo vuol dire che malgrado la legge extraterritoriale americana, detta “Cesar”, (che vieta e castiga ogni forma di business di tutti i Paesi del mondo con la Siria, al fine di impedire la ricostruzione fino a quando Assad lascerà il potere), l’America vede affievolirsi la propria forza dissuasiva. I paesi del Golfo e l’Egitto rimangono alleati dell’America, ma come si osserva nel caso del conflitto Ucraina/ Russia, il mondo sta diventando multipolare, privilegia la realpolitik e gli interessi propri, senza accettare più di obbedire all’Occidente.


La pace ai confini di Israele con la Palestina: da Camp David in poi, appare una sfida infinita, e senza vincitori, in cui tuttavia Iran e USA hanno un ruolo non secondario. La pace del millennio o almeno un gentlemen agreement, tra Ebrei e Islamici, dove e come può nascere e come far cessare una faida che sembra infinita, favorendo una tregua stabile?


Richiamo quanto già argomentato su questo punto all’inizio.


Ucraina, anche in questo scenario, nel quadro di una guerra che non vede sbocchi di pace, lo scontro vede impegnati tutti contro tutti gli stakeholders internazionali: andando oltre le strumentalizzazioni del conflitto, e i giochi di potere tra superpotenze, cosa può succedere nel prosieguo del conflitto, quale potrebbe essere una soluzione ragionevole per tutti?


Una volta di più, la novità che si osserva qui sta nel fatto che l’80% della popolazione mondiale è abbastanza indifferente alla sorte degli ucraini e vuole una pace rapida, per evitare non solo una guerra mondializzata e una strage apocalittica nucleare fra Occidente Russia. Gran parte dei Paesi del mondo oggi vuole vedere abbassarsi il prezzo del grano e questa stessa ampia platea di nazioni desidera inoltre continuare a costruire -insieme ai Brics, (nei cosiddetti Brics estesi n.d.r.), alla Cina, all’India, alla Turchia, all’ Africa, all’America Latina e ai Paesi Islamici-, un mondo non necessariamente Occidentale ma neutrale, sovrano e non più schiavo degli Stati Uniti, e multipolare dunque.


La morale qui non c’entra e neppure il diritto internazionale e il multilateralismo dell’ONU, perché il cosiddetto “ordine mondiale”, che gli USA e l’Occidente vogliono preservare, (come ha detto Biden, per condannare l’invasione russa dell’Ucraina) è percepito, a torto o a ragione, come un ordine ingiusto, imperialista, concepito dall’uomo bianco occidentale e dalle democrazie europee dell’ovest e anglosassone. Quindi mi sembra che la pace in Ucraina verrà da sé, sia per la stanchezza dei due belligeranti ucraini e russi, che – secondo un recente report della CIA-, non potranno allargare di molto le loro zone rispettive, (con una stabilizzazione della linea del fronte, la cosiddetta sindrome cipriota o coreana), sia per il fatto che il “sud globale” e la Cina, che contano adesso quasi più dell’Occidente, vogliono la pace.


Tuttavia questa visione potrá risultare osteggiata e combattuta, a tutti i costi, da Biden, se l’America e la Cina non troveranno un accordo di “ deconflittazione “tra loro, nell’Indo Pacifico, e fino a quando non si creerà l’opportunità, per gli Occidentali, di obbligare Zelensky a negoziare con i russi, se la cosiddetta controffensiva non darà risultati concreti e infine questa situazione di incertezza si protrarrà fino a quando l’elettorato americano, sempre meno a favore dell’aiuto all’Ucraina, non deciderà di votare a favore di un nuovo presidente isolazionista.


Infatti, ragionando sul punto, l’America ha ormai raggiunto le sue mete strategiche e geopolitiche immediate e più importanti in Europa, dal 2022, che sono una parte della radice di questo conflitto:

Le enumeriamo:


– estensione e rafforzamento della Nato a est, a sud est e a nord dell’area europea, con la correlata separazione totale tra Russia e UE e con la simultanea meta della scissione tra le industrie europee e l’export del gas russo (gas a buon mercato ed ecologico). Una scissione prodotta in favore del gas di scisto antiecologico USA, peraltro tre volte più caro.

-aumento esponenziale della vendita di armi americane in Europa, che ora è più che mai significativo.

Ulteriori mete sono:

  • messa al bando della Russia, in tutto l’Occidente e nelle istituzioni multilateraliste, concepite dagli USA.

  • indebolimento della potenza militare russa convenzionale.

  • crescita della “domanda” di occidentalizzazione in Ucraina e in “Eurasia bianca”.

  • Imminente impoverimento economico e finanziario della Russia, conseguente alla discesa del prezzo della energia idrocarburi.

In conclusione, la strategia USA, che, dal 2004, consisteva nel far perdere alla Russia il controllo del suo giardino ex sovietico ucraino, sembra funzionare, ma si rischia concretamente un’improvvida reazione russa, che (poco probabilmente, ma non impossibilmente) potrebbe realizzarsi nel lanciare una bomba nucleare tattica in Ucraina o nel bombardare una base delle basi NATO, dove passa il materiale militare destinato all’esercito ucraino. I falchi russi, revisionisti e brutali, sono caduti nella trappola lanciata dalla CIA e dai Neocons USA, repubblicani o democratici, dal 2003.Non hanno scuse, certo, vanno fermati, la NATO va rafforzata: per essere meglio rispettata, temuta e per poter negoziare meglio, ma siamo in permanenza sul filo del rasoio…


Dobbiamo dissuaderli dall’andare oltre e fare deterrenza per poter poi negoziare con loro, con più peso, ma dobbiamo evitare di provocarli troppo con l’estensione permanente della NATO; la pace si troverà quando l’Occidente abbandonerà il suo proselitismo (a volte anche in buona fede) e accetterà l’idea di Henry Kissinger di “equilibrio” e di zone rispettive di non ingerenze.


L’Iran: cosa è dopo le proteste per i diritti dei giovani e delle donne: una primavera di democrazia iraniana è possibile nei prossimi anni?


Dispiace dirlo ma non credo in questa possibilità come effettiva. Basti ricordare che le ultime rivoluzioni (parziali) in Iran, nel 2009, in parte nel 2017-2019, e recentemente nel 2022, sono sempre avvenute dal lato o dei giovani borghesi, o da studenti occidentalizzati e laici, o di recente, dalla zona iraniana delle minoranze azere e curde.


É opportuno rammentare poi il “prisma deformante “, che consiste nel vedere sempre le donne iraniane come delle fonti di liberalismo e progressismo anti Islam radicale, il che è una falsa verità o verità parziale. Lo devo ribadire in quanto esperto dell’Islamismo e dell’integralismo islamista, anche se questa osservazione contro-intuitiva non piace…


In Iran, al fianco di alcuni giovani borghesi e educati che sono antisistema, esistono come è noto anche i tanti giovani non borghesi e occidentalizzati (anzi quasi degli antiborghesi occidentalizzati): sono i giovani poveri e pro-sistema, e poi esiste la nuova borghesia pro-regime e corrotta, senza poi dimenticare il ruolo sociale dei tanti attivisti religiosi.


Allo stesso tempo ci sono tante donne emancipate, stanche di dovere indossare il velo islamico, e di obbedire alla polizia morale degli usi e costumi. Esistono tuttavia anche numerose Madri pro Mullah che riproducono e perpetuano, nelle case delle loro famiglie il maschilismo islamico e che fanno nascere generazioni di donne islamiche, addestrate a educare i maschi a questa mentalità integralista. Poi vi sono i Mullas, a cominciare da Ali Khamenei, la guida suprema, e i pasdaran che hanno di recente fatto concessioni alle donne e ai manifestanti e sono abbastanza astuti e furbi da alternare repressione, aiuti sociali e concessioni, per salvare il loro potere. Inoltre, il governo può bloccare Internet e non tutti i giovani sono a sufficienza istruiti in informatica da poter sbloccare il blocco del web (webblock), con i sistemi di accesso alternativi Vpn, come del resto, in Russia (e in Cina n.d.r.). L’Occidente spesso dimentica che è molto numerosa, tra la popolazione, la gente ingenua e disinformata in permanenza, oltre alla classe borghese pro-regime, e che tutti loro non vogliono la fine del regime e combatteranno, se necessario, fino alla fine, l’opposizione. Va considerato inoltre che l’opposizione non ha la forza delle armi e solo alcune minoranze etniche sono armate.


Realisticamente poi la maggioranza araba persefona non vuole né la divisione del paese (da parte dei separatisti curdi, arabi o azeri), né un’invasione occidentale, anche se, in definitiva, il popolo iraniano aspira alla modernità ed è il popolo più evoluto e moderno, con i turchi e i palestinesi, fra i paesi mussulmani, ma rimane fondamentalmente nazionalista tanto che non accetterà mai né la divisione della nazione, né un intervento militare esterno.


La Libia, tuttora, è divisa in due e non è risolto il problema della stabilità del paese. Esiste una prospettiva di riunificazione pacifica fra i due schieramenti?


Si esiste e la buona notizia è la nuova, relativa, riconciliazione, fra Egitto e Turchia, i due attori principali locali coinvolti: l’Egitto coinvolto con l’est Libia e la Turchia con Tripoli.

É impossibile quindi che il nuovo dialogo tra Ankara e il Cairo non aiuti il dialogo intra-libico, soprattutto quando si ricorda che gli stessi Emirati Arabi – che erano stati delusi dalle sconfitte di Haftar a Tripoli e dalla resistenza di Tripoli, aiutata dalla Turchia e dal Qatar, adesso dialogano permanentemente con i turchi, gli egiziani, gli americani, gli italiani, i francesi e anche i qatariani. Rimangono tuttavia molti punti da risolvere e il dialogo da parte delle forze esterne non basta: bisogna trovare una soluzione inclusiva, nel senso di quanto avevo personalmente proposto, insieme con Randa Kassis, per la Siria e la Libia, nel nostro saggio sul caos siriano e le rivoluzioni arabe: con l’ostacolo posto dal fatto che ancora, in fin dei conti, i rapporti di forza hanno sempre l’ultima parola…

Dopo le Primavere Arabe, Tunisia e Algeria sono tornate indietro, verso forme di potere sempre meno democratiche: i due paesi possono trovare un equilibrio che garantisca la democrazia sostanziale, pur se evitando la minaccia dell’integralismo fondamentalista?


A mio avviso il mio paese, la Francia, ha fatto, da anni, lo stesso sbaglio che hanno commesso la Nato, la Commissione Europea e l’America di Obama e adesso di Biden: abbiamo dato lezioni di morale etica democratica a questi paesi, li abbiamo destabilizzati, appoggiando le rivoluzioni arabe e le primavere, rivolte che furono, tutte, stravolte, strumentalizzate, quasi ab origine, dai Fratelli Musulmani e a volte dai Jihadisti.

Dopo l’intervento militare occidentale anglo francese americano in Libia, per fare cadere Gheddafi e l’aiuto ai fratelli mussulmani e al qaidisti in Siria, contro Bashar Al Assad, abbiamo trasmesso all’Africa e a tutti i paesi nazionalisti del sud il messaggio terrificante secondo il quale noi Occidentali diamo lezioni di morale, ma facciamo poi ingerenze e guerre, solo per gli interessi, ipocritamente nascosti, posti dietro la cosiddetta “morale “democratica.


Il risultato ottenuto da questa linea di azione è che adesso l’Algeria preferisce l’Italia alla Francia, perché la Meloni è anti-ingerenza; allo stesso modo la Algeria e adesso la Tunisia, preferiscono la Russia all’Occidente.

La Tunisia era, un tempo, il paese arabo reso moderno da Bourguiba; ma dopo che abbiamo (come francesi) aiutato le primavere arabe a favore degli eversivi Fratelli Musulmani e che abbiamo destabilizzato la Tunisia, al confine con il problema del caso libico, la Tunisia nazionalista panaraba del presidente Kais Sayed, non sopporta più le nostre critiche occidentali sulla ipotetica “democrazia in pericolo”. Critiche che giungono quando lui, Sayed, mette in prigione i Fratelli Mussulmani di Ennahda, fra cui il loro leader Gannouchi, che si era rifugiato per anni in Inghilterra. Lo stesso Sayed sta approfittando del problema dei migranti nel Mediterraneo, per negoziare, a prezzo molto caro, l’ammontare dell’aiuto finanziario europeo.


Si tratta del flusso preteso, per collaborare meglio con noi (francesi ed europei n.d.r.), contro i flussi migratori che questo paese, economicamente fallito, non è in grado di gestire. Circa questo tema aggiungo che confesso di apprezzare le proposte di Giorgia Meloni, che è riuscita a convincere la Von der Leyden e che si è recata con lei a Tunisi l’11 giugno 2023, e prima da sola il 6, e sapendo quindi giocare la sua sfida, meglio di tutti gli altri paesi Occidentali. L’Italia sovrana del centro destra della Meloni sembra adattarsi di più al nuovo sud globale rispetto alla Francia produttrice di lezioni di morale ipocrita e percepita come arrogante.



Il Marocco e la Giordania oggi si propongono apparentemente come paesi evoluti e progrediti, anche nella legislazione e nell’aggiornamento delle tradizioni storiche, se le cose stessero in tal modo potrebbero essere di esempio per gli altri paesi islamici?


Si, ma bisogna fare attenzione a come si classificano Giordania e Marocco, poiché questi Paesi “ingannano «la percezione Europea che si ha in genere di loro. perché l’ipermodernitá della loro élite pro-occidentale, è un prodotto della azione dei due monarchi.


Questi sovrani sono ritenuti discendenti, suppostamene, del profeta Maometto, (la famiglia reale Giordana è comunque più autorevole perché gli Hashemiti furono per secoli gli Sherif, i guardiani dei luoghi santi di Medina e della Mecca, prima di essere cacciati e “risarciti “altrove, in Iraq e nel mandato di controllo inglese su Giordania e Palestina, dagli anglosassoni).


Al netto di questa osservazione non dobbiamo dimenticare che in Marocco e in Giordania le disuguaglianze sociali sono terribili e che la maggioranza della popolazione si sta radicalizzando da anni: accade nelle zone povere e berberofone ribelli del Marocco, come il Rif (zona montuosa del nord del Marocco n.d.r.) e accade con il 60% di giordani di origine palestinese, sempre più “manipolati “dai Fratelli Musulmani.

In ambedue i casi la monarchia è potenzialmente in pericolo e perde legittimazione tra le nuove generazioni, non rimane loro altra speranza se non in Allah…


Non dobbiamo idealizzare questi contesti e Paesi.


Invece succede il contrario in Tunisia, apparentemente più caotica, dove le donne hanno i diritti più avanzati nel mondo islamico, dopo i libanesi: cristiani e sunniti e i turchi e i balcanici. Le donne hanno conseguito da sei anni il diritto di sposare legalmente un non mussulmano, fattispecie che è assolutamente impossibile per le donne arabe di altri paesi, compresi Marocco e Giordania, dove la legge islamica rimane in vigore e garantita dal Re Amir Al Momineem: quindi Marocco e Giordania sono più arretrati e più shariatici, rispetto alla nazione dei tunisini.


Nel suo più recente libro contesta la narrazione unipolare e mondialista e la globalizzazione one way: come dovrebbe essere una realtà internazionale non mondialista, né al contrario esageratamente sovranista? Esiste una terza via ragionevole e razionale, che, come scriveva un tempo, lo scrittore italiano Pasolini sappia distinguere in positivo tra progresso e sviluppo?


Nella nostra epoca manichea e ipocritamente moralista, wokista e revanshista, mancano fortemente delle menti libere e non manichee, lucide, come Pasolini, che seppe perfettamente, da uomo di sinistra, sottolineare i limiti dell’antifascismo di professione che, come l’antimafia di professione, descritta da Sciascia, scredita delle lotte inizialmente necessarie e virtuose. Lo stesso avviene dovunque, sia in storia delle idee che in geopolitica: in medio stat virtus o pan metron ariston,dicevano latini e greci. La tesi proposta nel mio saggio scritto con l’ex Presidente della Sorbona Soppelsa, suggerisce, spiega e dimostra che prima di tutto l’Occidente universalista Giudaico Cristiano laicizzato, ha pericolosamente mischiato due piani o categorie, categorie che la Chiesa storicamente sapeva ben distinguere: il campo spirituale da un lato, che è fondamentalmente universale, per i cattolici e i protestanti, (un po’ meno per gli ortodossi), e il campo temporale e quindi politico, più “ incarnato “, che è meno universale, e fatto di poteri nazionali e di varietà etniche, storiche, religiose e culturali, riconosciute nella stessa Bibbia Giudaico Cristiana e nei Vangeli.

Viceversa, al contrario, l’Occidente moderno anglosassonizzato, basato sulla religione dei diritti dell’uomo, e su un universalismo proselita, che consiste nell’estendere il modello liberal democratico a tutto il mondo( con l’appoggio delle multinazionali-nemiche degli Stati sovrani e delle frontiere- e degli ambienti cosiddetti “ progressisti “, wokisti liberal libertariani), è diventato fondamentalmente “globalista“, come lo si osserva nei media del mainstream e nella demonizzazione dei sovranisti.


In verità questo globalismo che si autolegittima, con la pretesa di essere la conseguenza della globalizzazione, è un’idealizzazione di questa ma non è questa.


Mi spiego: nel libro dimostro, matematicamente ( cioè scientificamente n.d.r.) , che la globalizzazione è un dato di fatto obiettivo, fatto di pagamenti, di trasporti, e di comunicazioni, un dato che non cancella o implica la perdita di identità o di frontiere, ma che anzi è un immenso allargamento del teatro di rivalità geoeconomiche fra le nazioni, in cui solo le più sovrane e nazionaliste stanno vincendo: la Cina sempre più nazionale e confuceo maoista, la Turchia sempre più nazional panturchista e islamista neo ottomana, o l’India di Modi, sempre più nazional induista, e la Malesia e l’Indonesia, moderne e neo-islamiche, oppure il Brasile o il Vietnam o altri emergenti.


Sono solo alcuni esempi di questo mondo multipolare, nel quale la mondializzazione o globalizzazione concreta è, geopoliticamente “neutra”, e non implica il globalismo, perché chi beneficia, ne gode o se ne approfitta di più sono proprio gli stati industriali mercantilisti, come Cina o l’India, che utilizzano la globalizzazione per esportare merci e produzione industriale, nella prospettiva di sorpassare l’Occidente, e non certo per diventare globali e perdere o demonizzare l’identità nazionale, religiosa o di civiltà, come dice Huntington.


In questo senso, per rispondere alla sua domanda, molto acuta e estremamente importante, la via di mezzo logica consisterebbe nell’utilizzare e godere delle opportunità della globalizzazione, come fanno gli altri protagonisti del mondo emergente o riemergente, ma senza abbassare la guardia e senza una autodistruzione identitaria, perché l’uomo; inteso come genere umano, è complesso, e anche un po’ paradossale e schizofrenico e può perfettamente apprezzare il lato globale, tecnologicamente parlando, senza smettere di avere un profondo desiderio di identità e desiderio di radici.


Le ali permettono di volare ma le radici permettono di orientarsi, atterrare e non perdersi. Lo sbaglio dell’Europa è, in conclusione, quello di avere una lettura molto ingenua della globalizzazione, erroneamente confusa con il globalismo, che è un estremismo ideologico battezzato nel mio libro “la daga (antica spada n.d.r.) politicamente corretta “. É una visione pericolosa, perché quando tu abbassi la guardia davanti a chi la mantiene alta e solo vuole colpirti, lo aiuti a indebolirti o a ferirti.


Ragione per cui in coerenza con questa metafora osserviamo nel libro la grande e gravissima spaccatura all’interno dell’Occidente, che da un lato è dominato dalle élite ideologicamente mondialiste globaliste, prigioniere delle multinazionali globaliste e dominato dai media cosmopoliticamente followers dei progressisti anti-frontiere. Questa spaccatura è ciò che permette la penetrazione in Europa di un’immigrazione afro-islamica e pakistano turca revanshista e neo-oscurantista, che difficilmente s’integra e rifiuta di farlo.

E questo accade nello stesso tempo in cui la tendenza opposta, quella liberal libertariana wokista, promuove una cultura anche auto revanschista, che odia le radici dell’Occidente Giudaico Cristiano, mentre dall’altra parte si osserva l’ascesa radicale di un neo-sovranismo, a volte complottista, che odia per principio tutte le élites, non crede più nei media mainstream, e che accusa di aver messo in pericolo mortale l’Occidente.

Seguendo questo ragionamento, pertanto, nel saggio faccio una distinzione categoriale e distinguo tra l’America e l’Europa, “oggetto geopolitico non identificato”, perché se la parte del deep state americano democratica, strumentalizza l’ideologia globalista antifrontiere, per nascondere l’imperialismo anglosassone, in funzione planetaria, a grande beneficio dell’industria dell’ America digitale e del loro Gafam, l’Europa non ha nessun interesse o beneficio in questa avventura, perché non è sovrana, né negli Stati nazionali, che hanno perso molto del loro status, per costruire l’UE, né al livello paneuropeo, perché l’Europa non riesce a diventare una nazione federazione sovrana, con una strategia industriale propria, una strategia energetica propria, una difesa comune e una diplomazia propria.


In verità come diceva il mio maestro a cui dedico il libro, il grande partigiano e fondatore della “force de frappe “nucleare francese, il generale Pierre Marie Gallois, siamo in una zona pericolosa, di assenza di una vera sovranità, perché né le nazioni componenti dell’UE, né l’UE stessa hanno una vera sovranità.

É lí che si afferma il globalismo ideologico, che serve gli interessi dei globalisti di Washington, delle multinazionali e della Nato, e non serve gli interessi né del multiculturalismo dell’Onu, diventato impotente, né della sovranità europea inesistente e sempre più schiava della strategia di precarietà delle multinazionali del digitale e delle industrie americane e degli interessi strategici anglosassoni imposti in Europa dalla Nato. L’Europa Occidentale, ancor più dalla guerra in Ucraina, si è ridotta a essere il doppio tacchino (espressione proverbiale francese n.d.r.) sia della Nato che impedisce la sua autonomia e beneficia l’industria delle armi americana, sia della globalizzazione anglosassone, che ha spinto apposta l’estensione della UE e della Nato verso est, perché sapeva che ciò avrebbe provocato una separazione totale tra l’Europa in prosperità e la Russia dell’industria energetica, a grande beneficio delle industrie del gas di scisto (shale gas), americane.

Contemporaneamente, dall’altro lato i cinesi, nemici ufficiali degli americani, approfittano anche loro della deindustrializzazione drammatica dell’Europa occidentale, che adesso, (nell’ambito della globalizzazione e della “ condivisione internazionale del lavoro “ e dei “ vantaggi comparativi “ teorizzati dagli economisti libero scambisti), è anche schiava della Cina e dell’India e di tutta l’Asia, in termini di merci, semi conduttori, terre rare, necessarie all’economia digitale, farmaceutica e anche alla industria solare fotovoltaica…

Siamo oramai “declassati” dall’Asia Confuciana, cinese, maoista, mercantilista, che ha saputo sfruttare la globalizzazione in senso contrario rispetto a noi: non per perdere la sua identità, il controllo delle proprie frontiere, o la sua indipendenza industriale, ma anzi per sorpassarci e renderci dipendenti. Concludendo la globalizzazione è un dato di fatto, ma va vista come una estensione, sia delle opportunità di condivisione che di condivisione geoeconomica. Non dobbiamo essere più rispetto alla globalizzazione il tacchino ma l’attore proattivo, come lo sono i veri protagonisti, assetati di potenza: Cina, America, India, Turchia, Brasile… e ovviamente metto la Russia a parte, perché è connessa pochissimo alla mondializzazione, al contrario della Cina, che diventerà il numero uno ex aequo fra poco, perché ha preso, in gran parte, il controllo della mondializzazione nascente.

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