Un ulteriore approfondimento della crisi diplomatica franco-italiana: la decodifica di un dissidio d
Di ritorno dall'Italia, dove si è recato per osservare le strategie dei partiti politici locali in prospettiva con le elezioni europee, Alexandre Del Valle* decodifica nell'articolo che segue, nella nostra traduzione dall'originale francese, l'attuale crisi franco-italiana, in apparenza di natura diplomatica. Da condividere per approfondire anche nel complesso e tormentato versante politico la temperie con cui dobbiamo misurarci su tutti i fronti.
In realtà, le cause del dissidio tra Parigi e Roma, la solidità dei cui vincoli trascende da decenni ogni discrepanza ideologica (congiunturale), dev'essere ricercata nei rispettivi programmi di politica interna, italiano e francese. Infatti, se da una parte il governo italiano – un'alleanza contro natura tra “populisti di sinistra” (il Movimento Cinque Stelle di Luigi Di Maio) e “populisti di destra” (la Lega di Matteo Salvini) – è sempre più diviso su temi come i migranti, le tasse, l'economia, le questioni sociali, etc., e per le rivalità elettorali, dall'altra il governo di Macron, indebolito e affetto da una crisi di legittimità (affare Benalla e gilets gialli) che divide persino la maggioranza che lo compone, ha sempre più bisogno di un capro espiatorio esterno, di un nemico che unisca le fazioni in lotta e sia in grado di creare un diversivo. A questo proposito, Alexandre Del Valle ha intervistato due insigni esperti della politica italiana e francese, i giornalisti e politologi Francesco De Remigis e Cesare Sacchetti. La crisi vista dagli italiani.
Siamo di fronte a una crisi di carattere diplomatico, ideologico o elettorale?
Nel gennaio scorso, il vicepresidente del Consiglio italiano, Luigi di Maio, leader del Movimento Cinque Stelle (M5S), ha suscitato una polemica senza precedenti affermando che la Francia “impoverisce e rallenta lo sviluppo economico di molti paesi africani”. In seguito Di Maio ha chiesto all'Unione Europea di “adottare sanzioni” contro questa forma di colonialismo esercitata in modo particolare dalla “persistenza del franco CFA in 14 paesi che dipendono ancora dall'ex-madre patria”. Il 22 gennaio, durante la fase calda della crisi dei gilets gialli, il Ministro dell'Interno e co-vicepresidente del governo italiano (insieme a Di Maio) Matteo Salvini, esperto comunicatore sui media, aveva dichiarato in un video-selfie: “manifesto la mia solidarietà a milioni di francesi che vivono in grandi difficoltà, con grande scarsità di denaro, e che patiscono sotto un pessimo governo. Il popolo francese, che io sostengo, è 'pessimamente rappresentato' dal Signor Macron: aspetto con ansia le elezioni del 2019, che rappresenteranno l'ora della verità per far sì che i francesi siano meglio rappresentati e recuperino la loro fierezza”... Si è trattato di un attacco in piena regola – condotto nel modo più frontale possibile – che è sembrato decisamente una reazione alle precedenti dichiarazioni di Macron contro “la lebbra populista” e agli attacchi ad hominem del presidente francese contro lo stesso Salvini, che egli ha presentato come “nemico dell'Europa” e leader di una “estrema destra” che ricorderebbe gli “anni Trenta”.
In seguito, la polemica franco-italiana non ha fatto altro che gonfiarsi, e il governo “giallo-verde” (così definito per i rispettivi colori del M5S e della Lega) ha restituito moltiplicati per cento tutti i colpi ricevuti. In quei giorni, Luigi Di Maio ha rincarato la dose a modo suo incontrando con ostentazione i gilets gialli francesi, il che è stato considerato dalla Francia un'“ingerenza”. Come rappresaglia, il Quai d'Orsay – che ha giudicato le dichiarazioni di Luigi di Maio “inaccettabili” e ha denunciato le “accuse ripetute” e “oltraggiose” del governo italiano, “senza precedenti dopo la seconda guerra mondiale” – ha richiamato l'ambasciatore francese in Italia... In effetti l'unico precedente di richiamo dell'ambasciatore risale al 1940, anno in cui l'Italia dichiarò la guerra alla Francia... Il che rappresenta un autentico affronto per l'Italia, che viene in questo modo paragonata de facto all'allora nemico mussoliniano alleato di Berlino. Nella storia dell'Unione Europea si tratta anche del primo caso in cui viene richiamato l'ambasciatore di un paese membro presso un paese amico, anch'esso membro dell'Unione. Il richiamo dell'ambasciatore costituisce un grave gesto diplomatico, una misura assai rara che si suole mettere in atto alla vigilia di un embargo o di una guerra o come tappa preliminare della rottura delle relazioni diplomatiche. Una misura del genere non è per niente abituale tra membri di una stessa organizzazione sovranazionale e, a fortiori, nei confronti di un vicino e alleato così stretto e di vecchia data come l'Italia.
Chi semina vento raccoglie tempesta: chi ha dato inizio alle ostilità?
Come ha giustamente fatto notare il deputato europeo Arnaud Danjean (LR), questa crisi bilaterale senza precedenti con l'Italia può essere considerata il risultato di una “intollerabile ingerenza nella nostra vita pubblica”. Gli esperti italiani che abbiamo consultato (Francesco de Remigis e Cesare Sacchetti, vedi infra) contestano questa versione, che tuttavia mostra “anche, sfortunatamente, fino a che punto la strategia di esasperazione delle divergenze tra 'progressisti' e 'nazionalisti' [voluta da Macron a fini elettorali e mirando alla leadership europea – NdR] risulti mortifera”. Questa seconda osservazione è, al contrario, vicina al “punto di vista italiano”. Infatti, secondo molti osservatori europei (non solo sostenitori del governo Salvini-Conte-Di Maio), sarebbe stato proprio il presidente francese Emmanuel Macron ad aver dato inizio per primo alle ostilità, demonizzando i governi “populisti” (ungherese, polacco, italiano, etc.) ed etichettando gli elettori di Salvini e dei suoi alleati euroscettici / anti-migranti illegali come “lebbra populista”, per non parlare del suo riferimento manifestamente oltraggioso a un presunto “ritorno agli anni Trenta”.
Dunque, secondo Roma l'offensiva è stata scatenata proprio da Emmanuel Macron, la cui strategia elettorale assolutamente personale (e peraltro abile) per le prossime elezioni europee e presidenziali consiste nel contrapporre due campi inconciliabili tra di loro e a creare così il vuoto tra “estremisti” e “progressisti”, il che consente di mettere fuori gioco il PS e LR. Anche in Francia molti osservatori non si sono tirati indietro dal far osservare che le stesse persone che hanno ritenuto “scandalose” le “ingerenze” italiane negli affari francesi, nonché gli attacchi verbali di Salvini e Di Maio, si erano da parte loro arrogate il diritto di dare lezioni all'Italia durante la crisi dei migranti (ONG e navi che aiutavano i migranti clandestini e i cosiddetti “rifugiati” a sbarcare in Europa). Roma non ha perdonato. Occhio per occhio, dente per dente...
Quando gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni inique alle banche francesi e quando la Turchia di Erdogan ha insultato la Francia non è stato richiamato nessun ambasciatore!
Secondo i sostenitori del presidente francese e secondo quanti non vogliono dare ragione a un terzo paese contro il proprio campo (punto di vista degno e logico), il governo francese avrebbe “fatto bene” a reagire in modo fermo contro Roma, per “imporsi”, come ha dichiarato l'ex-ministro degli affari esteri e segretario generale dell'Eliseo sotto il governo di François Mitterrand, Hubert Védrine.
Ma quest'ultimo si è affrettato ad accompagnare questa dimostrazione di solidarietà alla Francia affermando che il dissidio non sarebbe poi così grave, che bisogna sdrammatizzare e che dopo questa prova di fermezza l'Italia starebbe inoltre cominciando a mostrare più rispetto nei confronti della Francia. Secondo altri, Emmanuel Macron avrebbe semplicemente strumentalizzato la diplomazia francese a fini elettorali e avrebbe quindi reagito in modo sproporzionato, essendo cosciente lui stesso del lato teatrale del conflitto tra due avversari utili l'uno all'altro, perché entrambi si beneficiano del conflitto contro l'altro. È pertanto opportuno relativizzare la crisi franco-italiana, nonostante entrambe le parti si siano sentite oltraggiate (la parte francese dal “pessimo governo Macron” rumorosamente contestato da Salvini e dalla “Francia coloniale” denunciata da Di Maio; quella italiana dalla sparata contro la “peste populista” ed “eurofoba” di Salvini da parte di Macron).
Il modo migliore di relativizzare la situazione consiste nel paragonarla con quella dei paesi che in questi ultimi anni hanno aggredito verbalmente o materialmente, in modo ancor più grave, la Francia, e contro i quali tuttavia la reazione francese è stata nulla. Quando gli Stati Uniti hanno spiato i nostri presidenti della repubblica; quando hanno inflitto una sanzione senza precedenti di 10 miliardi alla BN PARIS e di altri 5 miliardi alla società generale (in nome di leggi extra-territoriali che attentano alla nostra sovranità), non vi è stata alcuna reazione, né tantomeno è stato richiamato l'ambasciatore, e nessuno dei nostri aggressori economico-giudiziari statunitensi è stato mai paragonato alla “lebbra”.
La Cina ci spia altrettanto accanitamente, ruba alle nostre imprese, uccide i dissidenti cristiani e democratici, ma non c'è stata mai nessuna reazione o denuncia contro la “peste rossa” (e nemmeno contro Cuba). Paesi islamici – falsi amici economici e autentici nemici culturali – come l'Arabia Saudita, il Pakistan, il Qatar e la Turchia di Erdogan finanziano nel nostro territorio reti islamiste ostili che minano i nostri valori e fomentano contro di noi i popoli musulmani immigrati, ma non si vede nessuna reazione che manifesti la stessa fermezza mostrata contro Matteo Salvini, Luigi Di Maio o i dirigenti polacco e ungherese, additati sistematicamente da Parigi e Bruxelles. Né la si è vista quando il presidente algerino Bouteflika ha ripetutamente accusato la Francia di aver commesso un “genocidio” e di tutti gli altri mali della terra.
Quando il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha affermato, nel maggio 2018, che la Francia avrebbe “massacrato 5 milioni di algerini tra il 1957 e il 1962” – accusa grave che aveva già lanciato nel 2011 contro Sarkozy, utilizzando l'espressione “genocidio di milioni di musulmani algerini” – non c'è stata NESSUNA reazione da parte della Francia. E quando l'irascibile neo-sultano di Istanbul è venuto nel nostro paese a pronunciare un discorso panislamista, galvanizzando i sentimenti nazionalisti dei turchi di Francia nei mega-meeting di Strasburgo e incitando i musulmani francesi figli dell'immigrazione turca a non integrarsi, non è stata sollevata nessuna protesta. Quando lo stesso Erdogan ha partecipato in Francia, insieme ai suoi collaboratori, a riunioni elettorali per far votare i turchi di Francia per il sì al referendum che avrebbe concesso pieni poteri al dittatore neo-ottomano, la Germania, il Belgio, la Svezia e l'Austria denunciarono l'irredentismo elettorale turco in Europa, ma la Francia non disse nulla. Quando le reti ufficiali turche presenti in Francia e le moschee controllate dal Diyanet turco (canali della diaspora che fanno capo al ministero turco e all'islam) esortano regolarmente a negare il genocidio armeno in suolo francese e denigrano in modo grave gli armeni di Francia, nessun ambasciatore viene mai richiamato e non si osserva nessuna reazione indignata.
Infine, recentemente, quando la Turchia ha condannato la decisione del presidente francese di instaurare una giornata di commemorazione del “genocidio armeno” del 1915, Parigi non ha reagito e non ha mostrato nessuna indignazione contro un negazionismo di Stato importato all'interno della diaspora turco-musulmana. Eppure questi attacchi contro i valori sacrosanti della Francia, della repubblica e dei diritti dell'uomo sono ben più forti di quelli (presunti) di Roma contro la Francia o del punto di vista di Salvini sulla questione dei migranti. Due pesi e due misure. Ovvero, nihil novi sub sole.
La crisi vista dagli italiani
Il fenomeno dei gilets gialli è percepito in modo piuttosto positivo dall'Italia, ed è in questo contesto – naturale soprattutto da parte del M5S di Luigi di Maio – che si può decifrare l'incontro tra il vicepresidente del Consiglio italiano coi gilets gialli nei giorni caldi della contestazione. Secondo Francesco De Remigis, uno dei migliori esperti italiani della vita politica francese e giornalista de Il Giornale, questa “ingerenza” di Di Maio, che avrebbe costituito una “provocazione” per Parigi, non sarebbe grave in sé ma sarebbe stata accentuata da entrambi i versanti delle Alpi per motivi che hanno a che fare con programmi di politica interna. De Remigis cita anche il ministro degli Affari esteri italiani, Enzo Moavero, il quale ha “giustamente sottolineato che il paragone tra interessi e punti di vista differenti non può pregiudicare le solide relazioni che ci uniscono da decenni. Il problema è che in Italia, quando gioca la nazionale di calcio, 60 milioni di cittadini si credono migliori dell'allenatore che siede sulla panchina allo stadio... Analogamente, sapendo che nel gioco politico attuale convivono due vice-primi ministri diversi, responsabili di due partiti completamente differenti, bisogna saper distinguere gli interessi nazionali da quelli di partito”...
Quando gli si chiede se il richiamo dell'ambasciatore sia stata una misura giustificata, Francesco De Remigis risponde con la stessa saggezza: “Mi sembra che il viaggio di Di Maio a Parigi non abbia avuto risultati, ma non si deve dimenticare che lo ha effettuato in qualità di leader di un partito, non di vice-primo ministro. Di conseguenza, 'l'ingerenza' di cui viene accusato è più personale che politica, e non dev'essere pertanto attribuita al governo italiano. Si ricordi d'altro canto che negli ultimi mesi anche Macron e altri membri di En Marche hanno espresso opinioni molto radicali sull'Italia”... Così, De Remigis fa un appello alla ragione: “In realtà, la drammatizzazione è una pratica comune alle due parti, perché la campagna elettorale europea è in atto tanto in Francia come in Italia; dovremmo quindi essere capaci di separare le istituzioni dalla politica. Salvini può avere dei modi rudi, ma non è noto per essere un uomo politico che insulta per primo. Al contrario, in genere quando si siede a un tavolo sa ascoltare molto bene gli altri. Prima di dare le dimissioni, l'ex-ministro dell'Interno francese, Gérard Collomb, ha affermato di aver lavorato bene con lui. La scoperta del suo lato 'moderato' e, per così dire, meno incendiario rispetto al leader del M5S (Di Maio), non è quindi una novità”. È vero che queste osservazioni potranno sorprendere il pubblico francese, che vede Salvini solo attraverso il filtro demonizzatore del tribuno “populista” radicale. Ma in realtà quanti si sono avvicinati a Matteo Salvini e hanno dovuto negoziare con lui si sono resi conto del fatto che è molto più pragmatico e disponibile al compromesso di quanto sembri.
Secondo il giornalista e politologo internazionale Cesare Sacchetti, corrispondente a Bruxelles di vari media ed ex-giornalista dal Fatto Quotidiano, la crisi franco-italiana non è solamente il risultato di uno scontro ideologico tra i “progressisti” europei filo-Macron e i “populisti” di cui Matteo Salvini sarebbe il leader in Europa, ma anche della crisi dei migranti, che ha contrapposto in modo più concreto Parigi e Roma: “bisogna risalire all'estate scorsa, al momento della questione della nave Aquarius che voleva approdare in Italia, decisione a cui Salvini si è opposto. Ora, la ministra francese degli Affari europei, Nathalie Loiseau, ha dichiarato che l'Italia era 'costretta' ad accettare le ONG che trasportavano migranti. Questa dichiarazione è stata seguita da un'altra di Macron, che ha accusato l'Italia di 'non rispettare il diritto internazionale'. È quindi la Francia ad aver manifestato sin dal principio un atteggiamento ostile nei confronti del governo italiano”, conclude Sacchetti, la cui posizione è ancor più comprensibile se si considera che lo stesso governo francese che vorrebbe “costringere” l'Italia a ricevere un numero sempre maggiore di migranti li respinge in massa alla frontiera franco-italiana di Ventimiglia e si è ben guardato dall'accogliere l'Aquarius o altre navi di ONG di migranti nei porti del sud della Francia...
Per quanto riguarda la scelta del presidente Macron di richiamare l'ambasciatore francese in Italia, Cesare Sacchetti ritiene che si può vedere in tale atto un “diversivo per cercare di stornare l'attenzione del pubblico francese dai gravi problemi interni che piagano il paese. Macron si sta confrontando con un'emorragia di consensi che sembra insanabile e cerca subito di sviare l'attenzione dei francesi su un nemico esterno: ieri erano i russi, oggi sono gli italiani. Il fatto che abbia richiamato l'ambasciatore perché Di Maio ha incontrato rappresentanti dei gilet gialli ha tutta l'aria di essere un pretesto. Macron ha incontrato Renzi nel 2017, quando quest'ultimo non aveva alcun ufficio governativo. Bisogna considerare anche questa un'ingerenza, in questo caso francese? O l'ultima visita di Marine Le Pen (alleata della Lega di Salvini al Parlamento europeo) in Italia per incontrare il ministro dell'Interno Matteo Salvini? Perché in quel caso Macron non ha protestato? I rappresentanti politici di tutti i paesi europei si sono sempre incontrati tra di loro e hanno il diritto di farlo”. Queste osservazioni di un raffinato osservatore della politica europea hanno il merito di fornire un altro punto di vista sulla crisi, troppo caricaturalmente ridotta alle “provocazioni” dei “populisti”.
A mo' di conclusione
Per Francesco De Remigis è evidente che “Salvini non ha alcun interesse a rompere le relazioni con la Francia, e che il fatto di aver intavolato una polemica con Macron sul piano politico è un soggetto diverso rispetto alle relazioni franco-italiane a lungo termine”. E a proposito dell'ultima crisi, che non è stata causata dal diavolo di destra Salvini ma dal progressista Luigi Di Maio, che ha sfidato Macron nel suo paese incontrando i gilets gialli, Francesco De Remigis ricorda che “il primo ministro italiano, Giuseppe Conte (in un video in cui parla con Angela Merkel) ha peraltro dichiarato (fuori onda) che il M5S (il partito di Di Maio) stava facendo campagna contro la Francia semplicemente per recuperare punti nei sondaggi... Tutto qua!”. Da parte sua, Cesare Sacchetti conferma che, in quest'ultima crisi franco-italiana, è opportuno distinguere tra Salvini e Di Maio, che sono d'altro lato in piena rivalità interna (la Lega minaccia elettoralmente il M5S e Salvini ha più “leadership” rispetto al suo cadetto): “L'Italia ha fatto il primo passo con l'intervento del ministro degli Interni, Matteo Salvini, che ha dichiarato di essere 'disposto a sedersi a un tavolo per risolvere le divergenze con la Francia'”.
In questo momento sarebbe dunque Salvini a mettere pace (insieme al Primo ministro Conte, ovviamente) nella crisi franco-italiana, mentre è Di Maio che getta benzina sul fuoco. È opportuno non sottovalutare le divisioni interne di questo governo tripartito (due leader politici e un presidente del Consiglio che fa da arbitro), a maggior ragione se si considera che nel momento stesso in cui questa crisi si è aperta, il presidente dell'Assemblea nazionale del M5S, Roberto Fico, e altri personaggi vicini a Di Maio e provenienti dalla sinistra si apprestano a votare la rimozione dell'immunità senatoriale a Matteo Salvini, accusato di “sequestro di migranti” in seguito alla sua decisione dell'estate scorsa di proibire lo sbarco dei clandestini dalla nave italiana Diciotti.
Infine, per quanto riguarda la Francia, Sacchetti ritiene che “se Parigi vuole pacificare la situazione deve pur provare la sua volontà reale di trovare una soluzione; ora, la sensazione che si ha in Italia è che Macron non voglia realmente risolvere la crisi e che consideri l'Italia una minaccia potenziale per l'asse franco-tedesco che domina l'Unione Europea. Dopo le elezioni europee la crisi potrebbe anche rientrare, poiché Macron potrebbe essere costretto a far fronte alla pesante sconfitta del suo partito”. Appuntamento alla prossima puntata.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio] __________________________________________ * Alexandre del Valle, studioso/docente e giornalista, esperto in geopolitica, ha pubblicato diversi libri sull’islamismo radicale, il terrorismo islamico e la cristianofobia.
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